Capire i bambini | Asilo Nido - Roma Montesacro https://www.asilonidopeterpan2.com Peter Pan Due Fri, 16 Dec 2022 15:15:16 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.25 L’IMPORTANZA DEL RIPOSO POMERIDIANO NEI BAMBINI https://www.asilonidopeterpan2.com/limportanza-del-riposo-pomeridiano-nei-bambini/ Fri, 16 Dec 2022 14:46:34 +0000 https://www.asilonidopeterpan2.com/?p=220940 Ho sempre ritenuto, sia per esperienza diretta, che soprattutto per gli studi sull’argomento, che il riposo pomeridiano sia importante per i bambini (ma anche per gli adulti!) perché è attraverso di esso che i piccoli rielaborano le esperienze vissute nelle ore della mattina e si ricaricano di energie. Per tale motivo, non ritengo rispettoso nei […]

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Ho sempre ritenuto, sia per esperienza diretta, che soprattutto per gli studi sull’argomento, che il riposo pomeridiano sia importante per i bambini (ma anche per gli adulti!) perché è attraverso di esso che i piccoli rielaborano le esperienze vissute nelle ore della mattina e si ricaricano di energie.
Per tale motivo, non ritengo rispettoso nei confronti dei bambini, anzi ritengo che sia una vera violazione dei diritti dell’infanzia, con ripercussioni sul loro sistema neurovegetativo, la regola presente nella maggior parte delle scuole d’infanzia di eliminare questo momento.
Mi appare incomprensibile come le scuole dell’infanzia, preposte alla crescita ed all’apprendimento dei bambini più piccoli manifestino una resistenza al riposo pomeridiano.
Nella mia esperienza ultra ventennale come titolare sia di asilo nido che di scuola d’infanzia, ho potuto constatare che questo momento sia assolutamente necessario ai piccoli, tanto quanto il riposo notturno, sia per recuperare le energie spese nell’arco della mattina, sia per favorire l’apprendimento e lo sviluppo dei processi cognitivi, come viene evidenziato dai numerosi studi effettuati dall’Università dell’Arizona, o da quelli di Rebecca Spencer dell’University of Massachusetts, che hanno dimostrato che un momento di riposo nell’arco del pomeriggio produca effetti positivi sulle capacità cerebrali, sia migliorando la capacità di concentrazione, che la memoria.

Tutte le ricerche neuroscientifiche affermano che il sonno sia basilare per poter sviluppare ed utilizzare al massimo le proprie risorse e condurre una vita sana mantenendo un buon funzionamento del sistema immunitario

Inoltre dopo un ”sonnellino” il bambino percepisce e recupera un senso generale di benessere, di contro le società pediatriche segnalano che si stanno sempre più riducendo le ore di sonno ai bambini con danni neurofisiologici ed anche metabolici.
Spesso si sente dire da parte dei genitori dei bambini della scuola dell’infanzia (3/5 anni) che farli dormire il pomeriggio comporta poi una difficoltà nei normali ritmi sonno- veglia. Tale osservazione è vera se il riposo pomeridiano si prolunga per due o tre ore. Ma se si mantiene una media che può variare, assecondando le diverse modalità individuali, dai 30 minuti ad un’ora/un’ora e un quarto, questo è solamente un vantaggio per i bambini.

Se si considera che sia per gli adulti che per i più piccoli normalmente c’è un calo fisiologico della soglia dell’attenzione concentrato tra le h.13,30/14 e fino alle h.16,00 circa, ben si può comprendere come un sonnellino possa essere una risposta ai normali ritmi dell’organismo.

Un bambino di tre anni che frequenta la scuola dell’infanzia trascorre la mattina tra varie attività, giochi, ed insegnamenti a contatto con coetanei ed adulti. Per tale motivo il riposo per questa fascia di età è fondamentale, perché non solo permette di recuperare le energie spese, ma favorisce l’apprendimento e lo sviluppo cognitivo, e cosa di non secondaria importanza, durante il riposo il piccolo rielabora le informazioni ricevute nell’arco della mattina e le emozioni vissute .
Come dicevo, non esiste una regola universale sulla durata del riposo pomeridiano: normalmente i piccoli sanno ben autoregolarsi e si svegliano da soli, comunque se il bambino tende a dormire a lungo ed in questo modo potrebbe ritardare poi l’ora della ninna della sera, si può svegliarlo dolcemente dopo un tempo ritenuto idoneo alla sua ripresa di energie.

Dicevo degli effetti benefici del riposo pomeridiano, ma c’è anche da considerare che far “saltare” il sonnellino, nella speranza che la sera il bambino vada a letto presto, crea nel piccolo un effetto opposto a quello desiderato. Infatti il bambino affronterà le ore serali nervoso ed eccitato, rendendo così ancora più difficile il momento e il conseguente abbandono al sonno.
Inoltre la mia esperienza mi spinge a ritenere che il riposo pomeridiano sia un bisogno fisiologico al quale i bambini si abbandonano ben volentieri, anche se i “più grandi” spesso sono più riluttanti, ma una volta invitati a distendersi “solo per riposare un pochino, senza dormire” crollano dopo pochi minuti.
Ricordiamoci, inoltre, che affinchè un bimbo, sia neonato che più grande, affronti bene il momento del sonno, si deve spesso ricorrere a piccoli stratagemmi che normalmente portano a risultati positivi.
Per prima cosa è importante creare dei rituali che vadano dall’abituare il piccolo a dormire sempre nello stesso luogo sia di notte che di giorno e, poi possono essere utili secondo l’età, sia
una ninna-nanna che una filastrocca, la compagnia di un peluche o il racconto di una storia.
Questi semplici supporti normalmente aiutano il bambino a rilassarsi e quindi ad addormentarsi più facilmente.
Ricordiamoci dunque come ha detto Daniele Novara, pedagogista direttore del Centro psicopedagogico per l’educazione, che privare il sonnellino ai bambini della scuola dell’infanzia, equivale a togliere loro il cibo.

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Winnicott https://www.asilonidopeterpan2.com/winnicott/ Tue, 20 Apr 2021 15:35:07 +0000 https://www.asilonidopeterpan2.com/?p=220914 Come aiutare i nostri figli nel processo di individualità   Le relazioni che il bambino instaura nei primi anni di vita, e che influenzano  le caratteristiche comportamentali sia a livello emotivo che cognitivo  delle età successive, è stata studiata da numerosi psicologi, a partire dalle teorie di Freud e della Klein, dalle quali sono derivati […]

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Come aiutare i nostri figli nel processo di individualità

 

Le relazioni che il bambino instaura nei primi anni di vita, e che influenzano  le caratteristiche comportamentali sia a livello emotivo che cognitivo  delle età successive, è stata studiata da numerosi psicologi, a partire dalle teorie di Freud e della Klein, dalle quali sono derivati numerosi  altri studi sullo sviluppo del bambino.

Winnicott, ad esempio, ha proposto sulla base non solo delle precedenti teorie, ma anche dalle sue osservazioni cliniche come pediatra e psicologo, una nuova chiave di lettura in contrasto con alcuni tradizionali concetti dello sviluppo infantile, o Bowlby che attraverso la sua teoria dell’attaccamento elaborata in decenni di pratica con i bambini, con le loro preziose e sempre attuali opere, sono fondamentali per comprendere l’importanza delle figure genitoriali e della madre in particolare, evidenziando i pericoli che incombono sullo sviluppo della psiche del bambino in caso di inadeguatezza o perdita  di tali figure.

Al momento della nascita il bambino ha in sé una serie di potenzialità, predisposizioni, caratteristiche attraverso le quali con il progredire delle esperienze, svilupperà il proprio mondo interno differenziandolo da quello esterno, in modo tale da potersi creare la propria personalità, il proprio carattere e la capacità di relazionarsi con gli altri.

La principale alleata del bambino, affinché possa avvenire tutto questo, è la madre che contribuisce allo sviluppo del potenziale innato, accompagnandolo verso l’individualità e l’autonomia, che gli fornisce protezione e tutela e da cui partire per scoprire il mondo esterno, ma dove sa con sicurezza di poter ritornare ogni volta che  ne avrà bisogno. Una “base sicura” cioè una figura disponibile, pronta a dare assistenza, ad incoraggiare, ad intervenire in caso di necessità.

Lo sviluppo dell’individuo si attua attraverso l’accumularsi ed il ripetersi delle esperienze: dormire, mangiare, avere una persona vicino che sappia comprendere le sue necessità, che riconosca i suoi disagi, quindi nelle prime fasi della vita il ruolo dell’ambiente è fondamentale perché può facilitare o ostacolare questo processo di crescita.

Normalmente è principalmente la figura materna  quella di riferimento per il bambino perché è quella che più delle altre lo accudisce e risponde ai suoi bisogni, anche se al giorno d’oggi la figura paterna è maggiormente coinvolta nell’accudimento del bambino, mostrando adeguatezza e partecipazione allo sviluppo dello stesso, più le risposte di queste  figure di riferimento sono corrispondenti alle esigenze del bambino più si creano le condizioni adatte per una sana costruzione del suo “Io”.

Al momento della nascita fino a circa i primi 2 mesi di vita, il bambino è completamente dipendente dalle cure che gli vengono fornite, per tale motivo si parla di una “fase di dipendenza assoluta” dove madre e bambino si appartengono e formano un’unità.

Se si osserva la figura materna già durante la gravidanza e nelle prime settimane dopo la nascita del bambino, si può constatare come questa sia tutta dedicata alla cura del bambino, quasi ritirata dal resto del mondo, occupandosi quasi esclusivamente del figlio, questo le serve per adattarsi gradualmente alle esigenze ed ai bisogni del bambino. Tale rapporto esclusivo e di identificazione  garantisce al figlio di avere intorno a sé un ambiente in grado di proteggerlo e di soddisfare i suoi bisogni.

In questi primi periodi di vita questa capacità della mamma non solo di soddisfare i suoi bisogni fisici, ma anche di essere “ contenitore” delle angosce del bambino,  permette a quest’ultimo di sperimentare un’onnipotenza soggettiva, cioè egli ha la sensazione che siano i suoi desideri a dare origine alle risposte.

Se dalla nascita ai primi due mesi per il neonato la discriminazione tra una persona o l’altra è limitata, dopo i 2 mesi e fino ai 7 mesi, il piccolo mostra reazioni differenti nei confronti dell’una o dell’altra figura, ad esempio sorriderà di più o cesserà di piangere di fronte all’apparire delle figure genitoriali.

Successivamente fino a circa i 2 anni di età il bambino comincia a provare diffidenza e timore verso persone non familiari, caratteristica che viene definita “paura dell’estraneo”

Se fino al giungere di tale momento il bambino avrà fatto esperienze di “attaccamento sicuro” cioè avrà la certezza che per lui c’è una persona sempre disponibile a cui ritornare, si sarà creata una condizione fondamentale per un suo sano  sviluppo, infatti, egli sentendosi accolto e sostenuto, non solo a livello fisico ma anche psichico sarà  pronto ed incoraggiato nelle prime espressione della propria personalità.

Quindi una madre che è capace di sintonizzarsi con i bisogni del figlio, di essere disponibile quando il piccolo ha bisogno, alla quale ritornare per richiedere aiuto e supporto, creerà le premesse per un  suo sano sviluppo, al contrario se i bisogni del neonato vengono ignorati dalla madre, anzi le proprie necessità sono prioritarie a quelle del piccolo,  questo non potrà fare altro che cercare di adattarsi, ma ciò avrà una profonda influenza sul suo  sviluppo, infatti interrompendolo nel suo processo di onnipotenza, gli si creano delle difficoltà nella costruzione del cammino verso l’integrazione di sé. Tanto che, se le figure di riferimento del bambino sono state deficitarie, se non hanno saputo rispondere ai suoi bisogni, se è mancata quella sintonia a lui necessaria, è possibile rintracciare anche nell’adulto delle manifestazioni di angosce infantili come sentirsi abbandonati o senso di perdita.

Questo periodo di totale dipendenza gradualmente viene ad allentarsi ed il bambino comincia ad avere la capacità di segnalare i propri bisogni in maniera che la madre li possa soddisfare.

In questo periodo di “dipendenza relativa” come viene definita da Winnicott, il bambino comincia gradualmente a prendere coscienza di una sua personalità separata dalla figura materna, acquisisce un suo schema corporeo, inizia a giocare attribuendo agli oggetti un significato, ma questo è anche il momento dell’instaurarsi dell’ansia, della paura.

E’ in questa fase di sviluppo che il compito della madre deve cambiare, ora deve progressivamente  cessare di anticipare i bisogni del figlio in modo tale da aiutarlo a crescere e ad evolversi verso l’autonomia.

Se al contrario la mamma non è pronta ed è incapace di lasciare al figlio lo spazio fisico e mentale che gli permette di arrivare all’indipendenza continuando ad anticipare  i suoi bisogni ed i suoi desideri, mantenendo una relazione fusionale, potrebbe  suscitare nel figlio  due diverse reazioni : una regressione allo stato precedente dello sviluppo psicomotorio, oppure il rifiuto della figura materna che viene percepita come un ostacolo alla propria indipendenza.

Il bambino ha bisogno in questo periodo di entrare in contatto con altre persone, è infatti attraverso la relazione con altre figure significative che trae le informazioni sulla propria persona, sul suo valore.

Gli oggetti ora rappresentano le prime attività esplorative del bambino ed è attraverso di essi che può imparare a scegliere, a manipolare facendo  esperienze sempre più complesse  che sono fondamentali per la costruzione di un proprio sé.

La fiducia nell’ambiente, nascerà solamente dalle esperienze che il bambino avrà fatto nei primi mesi di vita, e solamente se avrà ricevuto un adeguato accudimento e successivamente avrà potuto sperimentare un graduale processo di separazione dalla figura materna.

I genitori dovranno essere in grado di comprendere che non può essere mantenuto un rapporto esclusivo con il bambino perché questo ostacolerebbe la sua crescita, il loro ruolo dovrà ora modificarsi e diventare un ruolo di “guida”.

I momenti di esplorazione e di conseguenza di allontanamento dalle figure di riferimento permettono al bambino di fare conoscenza con la realtà, di strutturare nuovi legami e l’apprendimento di nuove nozioni.

Mentre un legame non sicuro con le figure di riferimento sarà alla base nell’età adulta per esempio di complicazioni o incomprensioni con i colleghi, con il coniuge o con gli amici, o di disturbi di personalità o sintomi nevrotici, una relazione di attaccamento sicuro, permetterà al bambino di interiorizzare una serie di funzioni fondamentali per il suo sviluppo, infatti sarà pronto  e sicuro nell’esplorazione dell’ambiente, in modo da imparare a conoscere la realtà ed a muoversi nel mondo.

Quindi un buon legame di attaccamento è un fattore protettivo rispetto all’eventualità di sofferenze psicologiche.

Numerosi studi longitudinali hanno dimostrato come questi  schemi di attaccamento  tendono a mantenersi costanti nel tempo costituendo una parte importante del nostro modo di essere, pertanto è la relazione con le persone significative che vivono intorno al bambino nei primi anni di vita che influenzeranno il comportamento e lo sviluppo della personalità di quest’ultimo.

Durante il processo d’ indipendenza il bambino può trovare alcune situazione che rischiano di interferire con il processo stesso, messe in atto dai genitori ad esempio:

  • la mancanza di gradualità, cioè richieste esagerate da parte del genitore come un improvviso svezzamento o allontanamento dalle figure di riferimento.
  • L’incapacità di allontanarsi dalle modalità adottate fino a quel momento,ad es. continuano ad anticipare i suoi bisogni, a tenerlo sempre in braccio, ad essere iperprotettivi..
  • La difficoltà di comprendere i bisogni dei bambini, ad esempio la capacità di accettare i “no” del figlio e di reagire con punizioni .

Bowlby, Winnicott con i loro studi,ci hanno indicato che i nostri figli  non cercano  dei genitori perfetti, ma “sufficientemente buoni”, cioè persone vere, autentiche, che possono anche mostrare ansie, preoccupazioni, stanchezza, errori, ma mantenere sempre la capacità di offrire sicurezza ed amore sapendo rispondere in modo adeguato ai bisogno del figlio, facilitandolo nel suo processo di sviluppo.

Quindi  una madre o genitori che possono commettere “errori” ma sicuri di aver agito con amore.

Questa è la grande innovazione che questi studi hanno portato influenzando il successivo pensiero sulla genitorialità, dove non c’è la ricerca di perfezione, ma quello di imparare a migliorarci quando e se possibile.

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L’importanza della fiaba https://www.asilonidopeterpan2.com/limportanza-della-fiaba/ Tue, 20 Apr 2021 15:31:19 +0000 https://www.asilonidopeterpan2.com/?p=220911 Uno dei principali compiti dei genitori, è quello di aiutare i figli a trovare un significato alla vita ma, per giungere a tale traguardo, bisogna passare attraverso le molte esperienze acquisite nei vari momenti di crescita. Ma quali sono le esperienze nella vita di un bambino  più adatte per stimolare la sua capacità di trovare […]

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Uno dei principali compiti dei genitori, è quello di aiutare i figli a trovare un significato alla vita ma, per giungere a tale traguardo, bisogna passare attraverso le molte esperienze acquisite nei vari momenti di crescita.

Ma quali sono le esperienze nella vita di un bambino  più adatte per stimolare la sua capacità di trovare i significati necessari?

Sicuramente il bambino trae le maggiori informazioni essenzialmente dai genitori  ma anche dalla società e dalla cultura.

La letteratura per l’infanzia ha la capacità di trasmettere molte informazioni utili alla crescita del bambino, ma affinché possa riuscire nel suo compito, la storia ha bisogno per prima cosa di catturare l’attenzione del bambino, non solo divertendolo ma anche accendendone la curiosità, toccandone l’immaginazione e soprattutto permettendo al piccolo di identificarsi con il protagonista, il quale  inizialmente vive un momento di difficoltà ma che successivamente, riesce  sempre a risolvere le varie prove che gli si presentano. In tale modo il bambino acquisterà non solo fiducia in se stesso, ma anche nel futuro.

Nelle fiabe il bambino viene messo di fronte alle varie realtà della vita: alle sue ambivalenze, alle sue paure, alle sue gelosie, alla sua aggressività, alle sue insicurezze, alla sua paura di abbandono, di separazione…ed ecco che in tutti questi casi entra in gioco la funzione catartica della fiaba, che permette di prendere atto del conflitto che si sta vivendo in modo chiaro ed essenziale, trasmettendo nel contempo che “la lotta nella vita è inevitabile” ma, se non ci si ritrae intimoriti e si affrontano gli ostacoli ,alla fine se ne uscirà vittoriosi e gratificati.

Ovviamente le fiabe devono essere scelte secondo l’età e gli interessi del bambino e possibilmente lette in forma integrale o se raccontate in forma ridotta, il lettore dovrebbe rimanere quanto più possibile aderente all’originale.

Nelle fiabe, come nella vita, il bene ed il male sono sempre presenti e rappresentati in modo netto, per cui il bambino comprende immediatamente chi è “il buono” e chi è il “cattivo” e, ad ogni personaggio si abbina inoltre una sola qualità: un fratello è intelligente, l’altro è stupido; un genitore è buono, l’altro è cattivo; una sorella è buona, l’altra è malvagia…in questo modo secondo Bettelheim (studioso del comportamento infantile) il bambino riesce a comprendere e a differenziare le caratteristiche degli uomini.

Per questo motivo, la fiaba attrae i bambini, perché permette loro di conoscere la realtà della vita con le sue positività e negatività, con le virtù ed i difetti, facendogli prendere gradualmente coscienza  dei suoi sentimenti, conflitti, emozioni, identificandosi ogni volta in un diverso personaggio, rendendo più chiari i sentimenti che prima erano confusi ed indefiniti .

Inoltre parlando di fate, maghi, gnomi, principi, streghe, matrigne…senza che abbiano un nome proprio, il bambino ha facilità nel processo di identificazione e di proiezione.

La fiaba, presentandosi sempre in forma simbolica e mai esplicita, permette al bambino di decidere se goderla esclusivamente come storia ,oppure se riportarla al particolare momento che sta vivendo, caricandola di un significato preciso,  relativo alle esperienze fatte e vissute fino ad allora.

Quindi, nonostante il piccolo possa aver sentito più volte la stessa fiaba, può adattarla al particolare momento psicologico che sta vivendo ed alla sua età, caricandola ogni volta di diversi significati.

Incontrando nella fiaba personaggi fantastici e paurosi come: draghi, mostri, streghe, che non sono altro che la rappresentazione degli aspetti negativi della vita, il bambino potrà identificarsi con loro senza temere per questo delle dirette conseguenze, e così proietterà su di loro le sue ansie, i suoi timori e i suoi desideri distruttivi.

Egli riuscirà a sentirsi in questo modo, più tranquillo in quanto questi suoi stati emotivi interni potranno attraverso la fantasia, trovare riscontro all’esterno ed essere vissuti in modo non ansiogeno.

In questo modo, inoltre, egli potrà misurarsi con le proprie paure ed imparare a dominarle perché potrà, attraverso il racconto delle fiabe, viverle anche infinite volte o interromperne il racconto se lo desidererà, ma soprattutto saprà che “ è solamente una storia, vissuta tanto, tanto tempo fa”.

La fiaba, con il suo messaggio implicito, assolve inoltre anche alla funzione di educazione morale, così importante per il bambino, il quale ha bisogno di capire cosa è giusto o sbagliato, lecito o illecito.

Anche se “ il male” all’inizio della storia sembrerà avere il sopravvento sul bene, al termine della storia sarà il cattivo che verrà sempre punito, dimostrando che non il male o il prepotente vince, anzi è esattamente il contrario, per cui il “buono” risulterà al bambino più affascinante perché è sempre il più bello e quello più amato.Inoltre avendo una struttura molto semplice sarà perfettamente ed immediatamente compresa dal bambino.

Spesso i genitori, anche se attenti alle necessità dei figli, non amano raccontare loro le fiabe, in quanto pensano che esse non rappresentano la realtà. Bisogna, invece, tener presente che la verità per un bambino è diversa da quella di un adulto e che inoltre i piccoli sanno perfettamente che quella narrata non è la realtà, il fatto stesso che  nel momento in cui iniziando a narrare diciamo: “ c’era una volta” oppure “tanto tempo fa” mettiamo il bambino nella condizione di comprendere che stiamo entrando nel mondo della fantasia, dove tutto può accadere e diventare possibile.

Se la storia narrata spaventa o mette ansia al bambino, basterà solamente che il genitore gli dica che è una storia di un altro luogo e tempo e che lui è al sicuro.

Attraverso l’identificazione con i personaggi il bambino può superare determinati stati d’animo, ad es. la fiaba di Cenerentola  rappresenta la rivalità fraterna, ma non lo dice in maniera esplicita, parla di “sorellastre” ma anche di “matrigna” perché per il bambino  il suo sentirsi inferiore o umiliato non deriva solamente dai fratelli, ma anche e soprattutto dai genitori che con il loro comportamento spesso danno loro la sensazione  di preferire gli altri figli o bambini al di fuori della famiglia.

A causa di ciò il piccolo, o anche l’adolescente, prova gelosia, invidia verso gli altri fratelli e da qui nascono i litigi ed i dispetti. I bambini sanno che questo loro comportamento non è giusto, infatti  a causa loro vengono sgridati e puniti, ma non trovano altro modo per attirare l’attenzione dei genitori, e così quando nella fiaba  sentono che le sorellastre infliggono delle cattiverie ed umiliazioni a Cenerentola, in qualche modo si sentono finalmente in parte perdonati.

La fiaba di Hansel e Gretel  pone l’accento su alcune delle più grandi paure dei bambini,  soprattutto intorno ai 4 o 5 anni, cioè quella di essere abbandonati dai genitori  o della loro paura e  difficoltà ad allontanarsi da loro.

Il bambino imparerà dalla fiaba che c’è sempre un modo per districarsi dalle difficoltà e per sconfiggere la “strega”, quindi placherà le sue ansie dandogli la certezza che una soluzione si può sempre trovare.

In Cappuccetto Rosso, invece è la nonna che rappresenta la figura femminile, che da dolce e buona improvvisamente si trasforma in lupo, cioè in figura crudele che nega al bambino ciò di cui ha bisogno. Cosa può fare in questa situazione il bambino? La scinde in due persone diverse, affinché possa continuare a gestire la situazione e risolvere così i comportamenti contraddittori degli adulti.

A livello inconscio il bambino, nella maggior parte, ha bisogno di scindere la figura genitoriale in due: una offre amore e cure, l’altra infonde timore. Tale divisione gli serve per potersi sentire protetta ed affidarsi all’immagine buona.  Succede spesso che quando il bambino non riesce a gestire i contrasti del comportamento del genitore

immagina che siano altri i suoi veri genitori, spesso persone importanti, e che quelle persone con le quali vive dicono di essere i suoi genitori, ma che in realtà non lo sono.

Perché questa fantasia?

Perché è solo così che il bambino può, senza sentirsi in colpa, provare un’autentica rabbia nei confronti del genitore, infatti questo non è quello autentico!!

Il fatto che nelle fiabe ci sia la figura della madre (spesso morta) sempre molto buona e dolce e, quella della matrigna cattiva, serve proprio al bambino per conservare l’immagine di una madre infinitamente buona e, di detestare senza sentirsi in colpa e senza rimorso, la cattiva malvagia.

Quindi la fiaba serve al bambino per controllare i suoi contrastanti sentimenti verso i genitori senza essere sopraffatto dal senso di colpa.

Quindi riassumendo, la fiaba è molto importante perché ha la funzione per il bambino di conoscere se stesso, il mondo esterno e le realtà della vita, sebbene le parole :” c’era una volta” lo  avvertono che stiamo entrando in un altro mondo, che non va confuso con il mondo reale.

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Disegno infantile https://www.asilonidopeterpan2.com/disegno-infantile/ Tue, 20 Apr 2021 15:29:09 +0000 https://www.asilonidopeterpan2.com/?p=220908 Il disegno rappresenta per i bambini sia una modalità espressiva che un’interazione con l’ambiente e si evolve con il progredire dello sviluppo neuro-psicomotorio indipendentemente dalla cultura, passando dallo scarabocchio al tipo di disegno definito da Luquet del realismo visivo verso gli 8/9 anni. Lo scarabocchio rappresenta per il bambino una vera fase dell’evoluzione grafica. La […]

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Il disegno rappresenta per i bambini sia una modalità espressiva che un’interazione con l’ambiente e si evolve con il progredire dello sviluppo neuro-psicomotorio indipendentemente dalla cultura, passando dallo scarabocchio al tipo di disegno definito da Luquet del realismo visivo verso gli 8/9 anni.

Lo scarabocchio rappresenta per il bambino una vera fase dell’evoluzione grafica. La possibilità di lasciare delle tracce su un foglio è un modo per affermare se stesso e di autocompiacimento che procura al piccolo sia l’approvazione degli adulti che uno stato di benessere, oltre che di comunicazione con il mondo esterno.

Lo scarabocchio si presenta all’incirca intorno ai 2 anni con un segno che  si realizza in diverse direzioni in maniera disordinata e soprattutto senza che acquisisca un significato. Successivamente la coordinazione oculo-motoria si evolve ed il bambino comincia a diventare consapevole delle tracce lasciate dai suoi movimenti ed inizia   anche ad utilizzare diversi colori.

Le “tappe “ dello scarabocchio, come già detto, si trasformano con il progredire dell’età. A circa 12 mesi ad esempio i primi tentativi grafici non mirano a far   scivolare un colore sul foglio, ma riuscire a centrare il foglio stesso è già una conquista; a 18 mesi, con il maggiore coordinamento motorio, il bambino riesce  già ad eseguire delle tracce, all’inizio ripetitive per avere conferme sulle sue capacità e poi provando nuove forme per il piacere di sperimentare cose nuove.

A 2 anni il bambino riesce a realizzare degli scarabocchi circolari attraverso un “realismo” fortuito dove la somiglianza alla realtà è assolutamente causale.

Verso i 3 anni i piccoli riescono ad eseguire delle linee verticali associate ad una presa di coscienza di un proprio sé ed al desiderio di rappresentare una precisa realtà che però si scontra con la difficoltà grafica a causa ancora della difficoltà del controllo dell’attività  motoria.

Questa fase per il bambino è causa di 2 contrastanti emozioni, infatti  se da una parte viene gratificato perché gli viene detto che ha eseguito un bel disegno (sicurezza di sé), subito dopo gli si chiede cosa rappresenti (insicurezza).

Solamente verso i 4 anni possiamo parlare di inizio del disegno infantile, il piccolo comincia ad unire 2 o più forme creando delle figure simili alla realtà che lo circonda.

I primi tentativi di  rappresentazioni sono legate, infatti, al contesto di vita del bambino, i cerchi, le linee rappresentano per il bambino: la casa, un albero ed una figura umana.

Più tardi i disegni si arricchiranno di particolari sempre più precisi e la gamma dei colori sempre più vasta anche se la preferenza cadrà sempre su colori forti.

E’ da tener presente che il colore utilizzato non corrisponde al reale colore dell’oggetto, ma alla rappresentazione che il bambino ha dell’oggetto rappresentato ( cavallo rosso, prato azzurro…) questo può derivare da un fatto puramente casuale ( vicinanza del colore),dalla preferenza di un particolare colore oppure dalla psicologia del bambino.  Solamente più tardi si passa ad una convenzionalizzazione del colore per cui tutti i tetti sono rossi, tutti i prati sono verdi…

In questo periodo vi sono due aspetti caratteristici del disegno: la trasparenza e la mancanza di prospettiva. Il bambino, infatti, se ad es. disegna un albero, verranno anche disegnate le radici, ed altri elementi rappresentati solamente nella sua mente, questo indica quanto per il bambino nel disegnare  l’aspetto visivo abbia poca importanza.

 

Dai 5 anni in poi  il disegno è sempre più aderente alla realtà, si arricchisce di particolari, si utilizzano le sfumature del colore, le proporzioni sono rispettate,  il bambino ragiona su ciò che rappresenta ed inizia a diventare critico nei confronti del suo operato.

Perché è tanto importante il disegno infantile?

 

Il disegno, anzi già lo scarabocchio assume un significato espressivo e personale differenziandosi per ogni bambino in relazione del proprio carattere e temperamento, uno scarabocchio lasciato con un tratto leggero, oppure in un piccolo spazio con molta probabilità ci fa pensare ad un bambino dal carattere tranquillo, al contrario un tratto forte al centro del foglio ci fa presuppore di trovarci di fronte ad un bambino dal carattere forte ed egocentrico.

Il disegno infantile, oltre ad una attività ludica, assume grande importanza così come negli adulti, per comprendere, quindi, la personalità del soggetto che ci si trova davanti e viene utilizzato dagli psicologi,  come test neuropsicologico perché proprio attraverso il colore, il tratto, la pressione, la disposizione nello spazio si acquisiscono numerose informazioni. Una impugnatura morbida la possiamo associare ad una normale tensione emotiva, una pressione marcata, l’utilizzo di una parte ristretta del foglio, l’utilizzo prevalente del colore nero o scuro, può rappresentare che il bambino sta cercando di gestire una difficile emozione, quale ad esempio la paura.

Bisogna però ricordare che questo come altri strumenti diagnostici, vanno usati solamente da professionisti del settore e sempre in unione con altri fattori: colloquio clinico, comportamenti,anamnesi… e soprattutto che un solo disegno non è rappresentativo di un tratto del carattere ma può anche solo rappresentare un momentaneo stato d’animo.

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L’insegnante mi dice: non sta mai fermo! https://www.asilonidopeterpan2.com/linsegnante-mi-dice-non-sta-mai-fermo/ Wed, 27 Feb 2019 11:31:02 +0000 https://www.asilonidopeterpan2.com/?p=220699 L'articolo L’insegnante mi dice: non sta mai fermo! proviene da Asilo Nido - Roma Montesacro.

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I genitori dei bambini di circa 2 anni che frequentano l’ asilo  si sentono spesso dire dall’insegnante  di classe che il bimbo è in perenne movimento, che disturba gli altri bambini e che ha una scarsa capacità di concentrazione. Questo contrasta con quanto fino a pochi mesi prima le stesse insegnanti dicevano del bimbo: infatti, solo poco tempo fa, era un bambino tranquillo, curioso, partecipativo.

Com’è avvenuto tale cambiamento? Semplice: tuo figlio è cresciuto!

Intorno ai 2 anni, infatti, l’esigenza di conoscere e di esplorare è talmente forte che è difficile far stare fermo un bambino. Inoltre, a quest’età, la capacità di concentrazione è  limitata a pochi minuti, pertanto pensare di farli stare seduti ad un tavolino a disegnare o fare manipolazione per un tempo più lungo è una vera utopia.

La situazione cambia se invece parliamo di bambini di età  superiore ai 5 anni, dove una forma di irrequietezza può coprire una situazione di stress o di difficoltà nell’adempimento alle nuove richieste scolastiche.

Per mezzo del proprio corpo i bambini possono esprimere anche situazioni di disagio o di tensione psicologica, per cui l’iperattività può essere originata dalla reazione ad una difficile situazione familiare, ad un lutto, alla nascita di un fratellino…

Se, invece, ad una difficoltà di concentrazione, si associano ritardi nell’apprendimento, difficoltà motorie, disturbi del controllo sfinterico, oltre ad  altri problemi che possono essere evidenziati dall’elettroencefalogramma, in questi casi si può  parlare di un vero “deficit dell’attenzione”

Se un bambino  di due, tre anni  a scuola si muove in continuazione,  si mette frequentemente in situazioni di pericolo, è probabile che sia  un bimbo che tenta di fuggire da una situazione reale o immaginaria di pericolo. Il suo agitarsi è una richiesta di attenzione che gli serve non solo per scaricarsi , ma anche per richiamare l’attenzione di genitori, che spesso sono troppo presi dai propri problemi per comprendere che il piccolo sta vivendo un momento di profondo disagio.

Il suo atteggiamento distruttivo verso giochi o cose ha la funzione di scaricare sugli oggetti quella rabbia che avverte dentro di sé a causa di tensioni, risentimenti, conflitti che percepisce in famiglia e che gli stessi adulti esprimono in maniera confusa ed ambivalente.

Un bimbo ipercinetico è molto spesso la rappresentazione di una “instabilità familiare”, pertanto invece di “incolpare” un bambino di essere perennemente in agitazione, bisognerebbe conoscere l’ambiente sia familiare che sociale nel quale il bambino si trova ad interagire.

Come cercare di arginare il “piccolo diavolo” ?

Sicuramente lasciando che il bambino si esprima anche fisicamente (la sua capacità espressiva a questa età è ancora molto limitata) senza inibirli. Un nostro atteggiamento duro, non farebbe altro che inasprire la situazione rischiando di cristallizzarla o di prolungare un momento di ribellione  circoscritto all’età, ad un comportamento prolungato nel tempo. Cerchiamo di cogliere il messaggio che il bambino vuole comunicarci, instauriamo con lui un dialogo attraverso il quale egli possa confidarci i pensieri e le ansie che si agitano dentro di lui. Punizioni e rimproveri, possono forse servire per bloccare momentaneamente una situazione  particolarmente difficile, ma certamente non a risolvere il problema, anzi se oltre all’instabilità comportamentale si aggiungono anche altri sintomi come inappetenza,  o al contrario una richiesta eccessiva di cibo, disturbi del sonno, scatti di ira o di aggressività immotivata, è opportuno chiedere aiuto  ad uno psicologo affinché possa fare una valutazione della situazione.

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Le fasi ed i disturbi del linguaggio https://www.asilonidopeterpan2.com/le-fasi-ed-i-disturbi-del-linguaggio/ Wed, 27 Feb 2019 11:25:49 +0000 https://www.asilonidopeterpan2.com/?p=220695 L'articolo Le fasi ed i disturbi del linguaggio proviene da Asilo Nido - Roma Montesacro.

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Il linguaggio del bambino si evolve attraverso varie fasi ed inizia intorno ai 2/3 mesi  di vita  per raggiungere un ottimo livello intorno ai 5 anni.

Verso i 2/3 mesi il piccolo non solo modula il pianto secondo le diverse necessità, ma inizia dei vocalizzi, è il periodo della lallazione cioè di suoni non specifici in risposta a stimoli non precisi.

Un’alternanza dei turni di suoni con l’adulto, comincia verso i 6/7 mesi, quando il bambino aspetta che l’adulto termini di parlare e poi inizia lui con ripetizione di consonanti.

A 9/13 mesi nascono le prime singole parole: papà, mamma, pappa….

Il vocabolario di un bambino di due anni è di circa 200 parole, che aumentano a circa 800 intorno ai tre anni, è il momento in cui iniziano delle vere frasi con soggetto, verbo e complemento, inoltre sostituisce il “me” con “io”.

A 4/5 usa oltre 2000 parole, il condizionale, l’interrogativo e le forme passive.

Durante queste fasi di sviluppo del linguaggio, possono nascere dei problemi che rappresentano uno dei motivi più frequenti di consultazione con il pediatra.

Il bambino, infatti, può avere un ritardo nel parlare, o dei difetti di  pronuncia  oppure balbetta.

La balbuzie rientra nella categoria dei disturbi del linguaggio e si manifesta verso i 5/7 anni. Alcuni bambini balbettano in maniera ricorrente, altri quando sono emozionati, altri in presenza di estranei.

Anche intorno ai 3 /4 anni il bambino può balbettare, però alcune volte non è un  vero disturbo del linguaggio, ma semplicemente la quantità di pensiero che il bambino vuole esprimere, che supera la sua reale possibilità di espressione.

Normalmente si distinguono due diversi tipi di balbuzie: ripetizione di una sillaba di solito posta all’inizio di una frase, oppure uno spasmo muscolare che impedisce per qualche secondo l’emissione della voce stessa.

Spesso la balbuzie compare improvvisamente a seguito di uno shock, che può trasformarsi in un disturbo anche di lunga durata causato soprattutto dal contesto nel quale il bambino vive. Essere preso in giro, corretto continuamente, non lasciare al piccolo il tempo necessario per esprimersi, fargli notare la sua difficoltà, sono cose che non fanno altro che aumentare la sua ansia e quindi a trasformare un momento di difficoltà in un vero e proprio disturbo del linguaggio.

Ancora una volta il balbettare di un bimbo è un grido di aiuto che lui rivolge agli adulti, la sua difficoltà psicologica è troppo grande perché egli possa elaborarla da solo. Desideri, paure, ansie, impulsi, situazioni familiari fortemente conflittuali, creano nel bambino una tale tensione che egli non trova altro modo per scaricarla se non attraverso il balbettare

Oltre al sostegno di un logopedista, spesso si deve ricorrere all’aiuto di uno psicologo il quale attraverso una serie di attività  ludiche porterà gradualmente il bambino a scaricare la sua aggressività.

Come ho detto l’ambiente familiare è di fondamentale importanza perché con il suo atteggiamento può far diventare disturbo quello che potrebbe essere solo un momento di difficoltà dovuto a varie cause: nascita di un fratellino, trasloco, separazione dei genitori, perdita di una persona cara…

È determinante, quindi, che la famiglia, come la scuola, che deve vigilare affinché il bambino non venga fatto oggetto di derisione dai compagni, cerchino di rendere il contesto nel quale il piccolo vive quanto più possibile sereno, evitando di concentrare l’attenzione sul sintomo e questo spesso basta per far lentamente regredire il sintomo stesso.

Se questo non dovesse bastare pensiamo di farci aiutare da un esperto, ma prima di tutto noi genitori interroghiamoci sui nostri problemi personali o che ci sono in famiglia, i quali hanno determinato uno stato di ansia in nostro figlio.

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È nato un fratellino https://www.asilonidopeterpan2.com/e-nato-un-fratellino/ Wed, 27 Feb 2019 11:14:29 +0000 https://www.asilonidopeterpan2.com/?p=220690 L'articolo È nato un fratellino proviene da Asilo Nido - Roma Montesacro.

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La nascita di una sorellina o di un fratellino, costituisce un momento di criticità nell’ambito della famiglia. Il figlio/a più grande ha difficoltà ad adattarsi ed a comprendere immediatamente i cambiamenti che stanno avvenendo nella propria casa soprattutto se loro sono ancora molto piccoli.
Il primogenito, (le reazioni saranno diverse secondo la posizione cronologica del bambino) è costretto a rinunciare, o perlomeno questo è ciò che percepisce, alla sua situazione previlegiata. Improvvisamente lui non si trova più al centro di tutte le attenzioni non solo della madre e del padre ma anche dei nonni e degli altri parenti ed amici, pertanto, tenderà per alleviare l’angoscia derivante dalla paura di perdere il loro amore con una serie di strategie.
Se, invece, è il secondogenito a dover affrontare la nascita di un fratellino, la reazione sarà diversa.
Egli, infatti, dovrà superare “il risentimento” che proverà nel sentirsi spodestato della posizione di privilegio dell’essere “il piccolo di casa”. Alla nascita del terzo figlio il primogenito reagirà invece abbastanza bene sia perché rivive una situazione che ha già conosciuto, sia perché essendo più grande sarà in grado di comprendere molto meglio il nuovo cambiamento familiare.
Se la differenza di età tra i due fratelli è di circa 18/24 mesi, il bambino deve cercare per prima cosa di superare una forte gelosia verso il “nuovo intruso” derivante dal dover imparare a dividere in un momento in cui tutto è “mio”, le attenzioni e le cure dei genitori. Nel crescere però, soprattutto se sono dello stesso sesso, avendo poca differenza di età i fratelli troveranno facilmente un rapporto di amicizia, di complicità, di condivisione di amici e di svaghi. Inoltre la loro complicità li porterà a superare meglio eventuali conflitti o perdite che dovessero avvenire in famiglia.
Se la differenza di età, tra fratelli, invece, è di diversi anni, il primogenito spesso svolgerà, nei confronti del nuovo arrivato un senso di accudimento e di attenzione che lo porterà ad assumere un ruolo di vice genitore.
Come visto fin qui, vi sono quindi, delle variabili secondo la posizione cronologica e secondo l’età, nelle reazioni che un bambino può mettere in atto nel momento che nasce un fratellino o una sorellina.
Le reazioni più comuni che manifestano il disagio del bimbo potrebbero essere o un momento di leggera regressione, per cui potrebbe ricominciare ad avere difficoltà nel controllo sfinterico, oppure potrebbe tornare a fare la pipì di notte nel letto, cominciare a parlare “da piccolo”, balbettare, chiedere di dormire nel lettone con papà e mamma, desiderare pappe e biberon…oppure il piccolo potrebbe avere dei veri attacchi di aggressività verso il nuovo arrivato che non escludono morsi, graffi o pugni.
Al contrario certi bambini soprattutto se c’è una diversa differenza di età, mostrano verso il fratellino un atteggiamento di “amore” e di attenzione, ma attenzione, che questo non è corrispondente ad una vera accettazione o ad una mancanza di gelosia, semplicemente stanno cercando di assecondare i desideri dei genitori, per compiacerli e quindi, secondo loro, per evitare di perdere il loro amore.
Altra reazione che il bambino potrebbe mettere in atto è quella di negare completamente l’esistenza del fratellino, per cui non ne parlerà mai, farà finta di non sentire se qualcuno gli fa delle domande dirette, oppure continuerà a disegnare la sua famiglia solo con tre componenti: il padre, la madre e lui magari aggiungendo il cane o il gatto, ma mai la sorella o il fratello!
Come sempre il ruolo dei genitori anche in questo caso è fondamentale per aiutare il bambino a superare questo periodo di difficoltà.
Sgridare il primogenito, punirlo, manifestare rabbia verso i suoi atteggiamenti è profondamente sbagliato. Il bambino sta reagendo ad un qualcosa che gli è stata secondo lui, tolta e quindi cerca di riprendersi quelle attenzioni c cure che aveva prima.
Il migliore atteggiamento che i genitori possono avere, è quello di essere molto vigili, affinché l’aggressività del primogenito non causi danni al piccolo, ma evitare sgridate o minacce che servirebbero solo a rafforzare nel bambino la paura della perdita dell’amore dei genitori a causa del fratellino.
Un rimedio invece efficace potrebbe essere quello di coinvolgerlo in questa “nuova “avventura” affidandogli piccoli compiti, oppure ricavando, il papà e la mamma, dei momenti che appartengano solo a lui: giochi, uscite, racconti di fiabe…
Sicuramente alcuni atteggiamenti degli adulti possono incrementare la gelosia del bambino per cui vanno assolutamente evitati come: mandare il bambino fuori casa anche se dei nonni alla nascita del fratellino, inserirlo al nido proprio in quel periodo, trattarlo da grande quando magari ha solamente due o tre anni, prenderlo in giro per la sua gelosia, fare paragoni tra lui e l’altro/a, (guarda come è brava la tua sorellina, tu perché fai questi capricci?)
Cerchiamo, inoltre, noi adulti di ricordare se da bambini abbiamo vissuto la loro stessa esperienza e quali sentimenti provavamo, diamo la possibilità a nostro figlio di parlare della sua gelosia, della sua paura di perdere il nostro amore, facciamogli sentire che gli siamo vicini e già questo lo può aiutare, inoltre prepariamoci prima della nascita del secondogenito, alle regressioni ed ai capricci che farà il primogenito così da evitare di arrabbiarci nel momento che avverranno.

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Oggi non vado a scuola! https://www.asilonidopeterpan2.com/oggi-non-vado-a-scuola/ Wed, 30 Jan 2019 11:21:48 +0000 https://www.asilonidopeterpan2.com/?p=220633 L'articolo Oggi non vado a scuola! proviene da Asilo Nido - Roma Montesacro.

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Tutti noi genitori ci siamo trovati una mattina  davanti al capriccio di nostro figlio che non voleva alzarsi per andare a scuola.

Quali le ipotesi più frequenti di tale atteggiamento?

Domandiamoci per prima cosa se possono esserci problemi a livello fisico:

ha dormito il giusto numero di ore? Ha avuto un sonno agitato? La sera ha fatto giochi troppo eccitanti?  Ha svolto un’attività sportiva troppo faticosa?

 

Potrebbe, però, anche non trattarsi di stanchezza ma proprio del rifiuto di andare a scuola.

In questo caso potrebbe esserci una difficoltà da parte del bambino di allontanarsi dall’ambiente familiare, oppure un rifiuto legato al nuovo ambiente scolastico.

Allontanarsi da casa, se è un periodo di tensione famigliare, se è avvenuta la nascita di un fratellino, se vi è un familiare malato, se è stato fatto da poco un trasloco, se un genitore si è allontanato da casa anche se per motivi di lavoro…tutto ciò significa per il bambino temere che durante la propria assenza possa accadere qualcosa che lui non possa controllare.

Anche il desiderio inconscio della mamma di non volerlo “far crescere” e renderlo autonomo, può far scaturire nel bambino il bisogno di assecondare questo desiderio materno e quindi di non allontanarsi dal proprio rifugio/casa ritardando quel suo naturale bisogno di autonomia.

Altre volte  il  non voler andare  a scuola, può assumere il significato di una “vera protesta” nei confronti dei genitori  colpevoli di volerlo allontanare da loro per alcune ore. La sua protesta potrebbe essere anche rivolta all’insegnante che rappresenta una autorità diversa dai genitori e non accettabile per lui, oppure sentirsi costretto a dei ritmi di attività che non corrispondono alle sue necessità e capacità.

Alcune volte il suo disagio e la sua ansia di allontanamento è talmente grande da procurare disturbi fisici, fino a creare delle vere e proprie malattie psicosomatiche.

Da quanto detto, si comprende la molteplicità delle cause di rifiuto della scuola, alcune volte accompagnato dal rifiuto di lavarsi o vestirsi. Sono infatti tutte azioni che portano ad allontanarsi da casa e non per andare con i genitori al parco ma al momento per il bambino di allontanarsi dalle sue figure di riferimento.

Allora cosa fare?

Ricordarci noi genitori, che il capriccio non è mai fine a se stesso, ma è il modo che ha il bambino per chiederci di prenderci cura di lui, e la nostra migliore risposta è sempre quella dell’ascolto e del comprendere quali siano le vere motivazioni che stanno dietro a quel capriccio.

Per prima cosa non assumere mai un atteggiamento ricattatorio! (se vai a scuola ti compro un regalo, oppure se non vai a scuola non vedrai in tv i tuoi cartoni preferiti),

Instaurare un “braccio di ferro” con il bambino non solo è inutile, ma anche dannoso, lui non si sentirà compreso e pensa che le sue ansie  non vengano comprese.

Dicendo invece realmente con il cuore : “ho capito ciò che vuoi dirmi, hai bisogno di un momento di coccole. Va bene, ora stiamo qualche momento insieme, ma poi dovremo andare. Ma ricordati che papà, mamma, i nonni, torneranno sempre, e durante la separazione ti penseranno”.

Un altro espediente è quello di permettere al bambino di portarsi a scuola un oggetto a lui caro, che non solo può essere un gioco o un peluche, ma alle volte anche un abito, una maglietta che può servire a fargli compagnia e, non importa se la maglietta sarà a maniche corte anche se siamo in pieno inverno!

La psicoterapeuta Vegetti Finzi ci consiglia in caso di “mal di scuola” di dimostrare al bambino che a noi interessa lui come persona  e non come scolaro.

Il bambino per potersi allontanare serenamente dalle sue figure di riferimento  ha bisogno di sicurezze e serenità  ed è questo che dobbiamo dargli affinché possa assecondare il proprio bisogno di esplorazione ed autonomia.

Il rifiuto scolastico rappresenta spesso una paura che esula dalla scuola stessa, il bambino prova un’angoscia che non riesce a definire o collocare ed ha bisogno di un adulto di cui fidarsi ed affidarsi affinché riesca a modo suo ad esprimere il proprio disagio. E’ compito dell’ adulto che gli sta accanto, trovare le parole idonee, ma soprattutto che sappia veramente ascoltarlo e non solamente con le orecchie ma soprattutto con empatia.

Il contesto familiare sereno, la capacità di dialogo, sapere di trovare nell’adulto che ama, comprensione e condivisione delle sue paure, delle sue angosce e dei suoi disagi, rappresentano per il bambino il superamento della sua ansia da separazione e gli danno la forza ed il desiderio di andare ad “esplorare” il mondo circostante.

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I capricci dei bambini https://www.asilonidopeterpan2.com/i-capricci-dei-bambini/ Wed, 30 Jan 2019 11:17:21 +0000 https://www.asilonidopeterpan2.com/?p=220629 Sembra che alcuni bambini per comunicare con gli adulti abbiano un solo sistema: strilli, lacrime e capricci. Il primo pensiero che viene osservando un bambino che fa i capricci è quello di pensare che sia un bimbo che si senta poco ascoltato, considerato o addirittura poco amato. Questo non sempre è vero, il bambino può, […]

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Sembra che alcuni bambini per comunicare con gli adulti abbiano un solo sistema: strilli, lacrime e capricci.

Il primo pensiero che viene osservando un bambino che fa i capricci è quello di pensare che sia un bimbo che si senta poco ascoltato, considerato o addirittura poco amato. Questo non sempre è vero, il bambino può, infatti, avere anche un ottimo grado di ascolto da parte degli adulti, ma  potrebbe essere un ascolto che  non è corrispondente ai suoi bisogni.

Normalmente il capriccio è una modalità adottata dal bambino per richiamare l’attenzione, ma  gli serve anche per esprimere ansia, paura o timore.

Altre volte lo strillare è un modo che serve al bimbo per esprimere la propria rabbia, è come se avesse bisogno di far esplodere una emotività che non riesce a contenere se non attraverso il capriccio e le lamentele.

Cosa possono fare i genitori? O meglio cosa non devono fare i genitori?

Si deve assolutamente  evitare che il capriccio divenga una modalità comunicativa  usuale del bambino, il quale se comprende che strillare significa ottenere tutto ciò che desidera e soprattutto ottenerlo  subito,  continuerà a perpetuare tale comportamento, anche in relazione a quel “principio del piacere” che spinge i piccoli a volere immediatamente soddisfatti i propri bisogni.

E’ compito dei genitori e degli educatori, cercare invece di smorzare quell’egocentrismo ed egoismo tipico dei bambini piccoli, portandoli gradualmente e con dolcezza a comprendere che tra il loro desiderio di vedere appagato  un proprio bisogno e l’appagamento reale dello stesso, può esserci un lasso di tempo più o meno lungo. Questo insegnamento è più facile, sicuramente, nell’ambito di un nido piuttosto che in quello famigliare, infatti, al nido il piccolo deve imparare a condividere con altri bambini non solo i giochi, ma anche le attenzioni dell’educatrice, rispettando i tempi e le attenzioni che lei dedica agli altri bambini.

I genitori, inoltre, spesso per vincere i propri sensi di colpa derivanti dal fatto di essersi allontanati per alcune ore, tendono a soddisfare al rientro ogni richiesta del proprio figlio. Altre volte, invece, è il senso di stanchezza del genitore che il bambino sfrutta a proprio vantaggio, egli è molto furbo e se comprende che facendo “la lagna” alla fine ottiene, utilizzerà tale comportamento ogni volta che vorrà ottenere qualcosa.

“Tutto e subito” non esiste e non è possibile, per raggiungere i propri obiettivi, c’è invece necessità di pazienza, tolleranza, creatività…Tutto questo naturalmente sempre tenendo conto dell’età del bambino, della sua capacità a sopportare le prime frustrazioni, quindi nessun atteggiamento impositivo, senza sottovalutare i loro capricci, perché vorrebbe dire non ricercare le cause che li sottendono, ma è errato anche accontentarli subito o riempirli di regali.

 

 

E’ necessario essere sempre coerenti nella vita, ma soprattutto con i bambini, pertanto è inutile farlo strillare per dieci minuti, dicendo che non può avere l’oggetto del suo desiderio e poi per stanchezza, concederglielo.

Questo comportamento serve solo a rafforzare il “delirio di onnipotenza” del bambino e ad insegnargli che  strillando ottiene. Molto meglio cercare di ascoltare il bambino sulle sue richieste e spiegare sempre il perché del  nostro no, sempre che sia veramente motivato.

Cosa significa quel “braccio di ferro” che instauriamo con loro? Cosa o a chi vogliamo dimostrare di essere i più forti? Cerchiamo, invece, di parlare, e soprattutto ascoltare i nostri figli, di prevenire un capriccio, di trovare un compromesso, delle soluzioni alternative, dedicandogli tempo, attenzione e cure. Ci sono dei no, come diceva il prof. Bollea che servono realmente a far crescere i nostri figli, ma devono essere basati su dei saldi principi educativi che servano ad un  loro processo di crescita, per questo devono essere coerenti e non momentanei e sempre spiegati.

 

 

 

 

 

 

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